
16 Nov I “Twenty Years” dei Placebo: io c’ero
Ieri sera, durante la tappa milanese del tour per i vent’anni dei Placebo, ho raggiunto livelli di esaltazione come non mi capitava da tanto.
Se qualcuno di voi ha già i biglietti per andare a vedere una delle altre date europee è meglio che non legga questo post perché spoilererò un bel po’. Siete avvisati.
Che dire? Tutto parte prima del previsto quando, a un’ora dall’inizio del concerto, Brian Molko si presenta sul palco, cogliendoci tutti di sorpresa tra un morso al panino e una fila alla toilette, per ringraziare il pubblico di essere lì ma soprattutto per informare che il gruppo spalla avrebbe dato forfait, causa piccolo incidente sulla strada per l’Italia. Al suo posto, però, una good news: la vibrante esibizione a colpi di gong a opera di Alma Matters Milano.
Ecco, a questo punto sono già in fibrillazione. L’improvvisa comparsa sul palco del leader del gruppo che seguo da vent’anni e che si prende la briga di dare una comunicazione (che sia di qualunque tipo) mi sballa. E manca ancora un’ora all’apertura del concerto, pensate un po’.
Un inizio con le bombe, con il breve video che celebra la storia di tour ed esibizioni della band inglese e con il ricordo di Leonard Cohen. Poi si parte sul serio con il video di Every You, Every Me che ci riporta alle atmosfere fluttuanti dei Placebo del 1998, quelli i cui testi si aprono a decine di interpretazioni diverse e un po’ confuse.
E poi, da lì, un’escalation di grinta, attraverso i brani che tutti noi patiti del gruppo abbiamo amato e che conosciamo a memoria dalla fine degli anni’90 (quanto meno parlo per me: li ho imparati all’epoca e poi non li ho dimenticati mai più). I Placebo reggono il palco alla grande, non annoiano mai e mantengono il ritmo della serata alle stelle per l’intera durata del concerto.
C’è spazio anche per le chiacchiere: un Brian oggi quarantaquattrenne, più maturo, dal fisico esile come sempre ma forse meno femmineo di un tempo, saluta e ringrazia di continuo il pubblico di ladies, gentleman e “tutto quello che c’è nel mezzo”; ricorda loro quanto conta oggi preservare l’acqua e l’ambiente, e che forse vale pena di spegnere gli smartphone e godersi il concerto senza dover scattare foto ogni secondo (come del resto ho fatto io). Non solo: dopo una “sessione malinconica” trascinata da pezzi del calibro di I know, Twenty Years (in una fantastica versione), Devil in Details e Without You I’m nothing (quest’ultima dedicata al ricordo commosso di David Bowie con tanto di immagini proiettate), il cantante annuncia che, come per ogni festa di compleanno che si rispetti, è giunto il momento di fare casino e divertirsi: si passa quindi al ritmo sfrenato di For What it’s Worth, Song to say Goodbye, Special K e The Bitter end. E via a scatenarsi, senza alcun rispetto per il cappotto gettato a terra tra i piedi per avere più libertà di movimento.
Una chicca della serata: Slave to the Wage, uno dei miei brani preferiti tratti da Black Market Music che, quando andai al concerto del 2009, mi era mancato.
I Placebo chiudono la serata alla grande, con un occhio nostalgico rivolto al loro passato più passato: Nancy Boy e Teenage Angst (e qui parliamo davvero di vent’anni fa) sono infatti alcuni dei pezzi con i quali ieri sera hanno salutato il loro pubblico.
Dopo due bis e tanta adrenalina, il finale migliore che potessero scegliere: si torna ai ritmi più malinconici e solitari di Running Up That Hill. E Brian ci saluta con tanto affetto, non prima di averci rassicurato circa un loro ritorno a breve sul palco.
E io li aspetterò con ansia. Perché vent’anni fa c’erano i Placebo ma c’ero anche io con loro, in qualche modo. Vorrei poter dire che li ho visti nascere, ma in realtà ho iniziato a seguirli a partire da Without You I’m Nothing, disco del 1998. E comunque si tratta del primo gruppo per il quale posso dire di esserci stata dall’inizio, di conoscere tutti gli album e, cosa non da poco, di continuare ad apprezzare tutto quello che tirano fuori, anche oggi come allora.
Quello di ieri, per me, è stato un viaggio: non solo un viaggio di 400 km tra andare e tornare dal Mediolanum Forum di Assago a bordo di un’auto noleggiata ieri stesso e restituita questa mattina dopo sole quattro ore di sonno, ma un viaggio nel tempo. Nel ricordo della ragazzina che ero, vent’anni fa, quando Spotify non esisteva, Youtube forse neanche ma comunque non lo consideravo e andavo a caccia di video su MTV. Quando andavo a scuola e dedicavo molto più tempo alla musica. E, in preda alle paturnie adolescenziali, ascoltare musica significava trovare qualcuno dall’altra parte degli auricolari in grado di capirci come nessun altro e di immedesimarsi perfettamente nei nostri stati d’animo. Quando io e mia sorella, al culmine della fascinazione per quel giovane cantante inglese dagli occhi azzurri e dalla personalità ambigua cercavamo di tradurne e, soprattutto, di interpretarne i testi per capire se ci fosse anche una sola, minima, minuscola possibilità che a lui piacessero più le donne che gli uomini.
Un viaggio nel tempo andato avanti con il ricordo degli anni delle serate rock all’Alcatraz di Milano, all’Estragon e allo Chalet dei Giardini Margherita di Bologna quando, anche allora, abbandonavamo borse e cappotti per terra per essere liberi di scatenarci sulle note di The Bitter end e Song to say goodbye. E poi, il viaggio è proseguito fino a una sera del novembre 2009, quando ho visto Brian e compagni dal vivo per la prima volta sempre a Milano, città in cui vivevo già da un anno e che, dopo avermi regalato gli U2 e i Placebo a pochi mesi di distanza gli uni dagli altri, si consacrava come la mia capitale della musica. Altro concerto fantastico, sempre tanta energia e tanta forza sul palco.
Ecco, io ieri sera di colpo ho avuto 15 anni, subito dopo 22, poi 26 e poi chi lo sa quanti ancora.
Forse è per il ricordo di tutto questo che da ieri canticchio una delle loro canzoni più vecchie. Una di quelle che mi parla tanto di quei tempi lontani. Una di quelle che mi piacciono di più pur non essendo tra le mie dieci preferite.
Ed è questa: https://www.youtube.com/watch?v=Fx5bfLI5slU
Vorrei augurare ai Placebo di compiere vent’anni almeno altre cento volte. Comunque vada mi troveranno sempre lì, davanti al loro palco, con la mia esaltazione pronta a esplodere sulle note dei loro pezzi più rockettari.
E, infine, non mi resta che ringraziare anche chi ieri sera era con me, nonostante il raffreddore e i mille pensieri. E nonostante non fosse un fan accanito del gruppo. E nonostante la stanchezza dei 400 km. Qualcuno che non c’era quando avevo quindici anni, ma solo sulla carta, perché in realtà è come se ci fosse sempre stato. Grazie di cuore.
Ps: so di aver già raccontato abbastanza, ma se vi andasse di dare anche una sbirciata alla scaletta completa del concerto la trovate su Setlist.
Alessia
Posted at 17:27h, 16 NovembreAdoro i racconti così intimi, di “pancia” e, soprattutto genuini. Anche per me la musica ha rappresentato un supporto importante nel mio periodo adolescenziale e in certi casi mi ha proprio salvata. Mi sarebbe piaciuto esserci. Non sono una fan sfegatata, ma mi piace la musica buona, specie se è rock, in ogni sua declinazione e possibilmente dal vivo. Ah, la magia proprio! La cosa che più mi piace del tuo articolo però è l’entusiasmo. Contagioso. E sai, oggi ne avevo proprio bisogno❤ Grazie!
Alla fine di un viaggio
Posted at 17:57h, 16 NovembreMamma mia… non sai che piacere mi faccia leggere questo tuo commento. Vuol dire che sono riuscita nel mio intento che era, appunto, riuscire a trasmettere l’entusiasmo che ho provato ieri sera. Oltre alla mia passione ormai ventennale per la musica di questi ragazzi. Grazie di cuore, Alessia!
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